Orson Welles, Otello


L'Otello è un capolavoro assoluto. Va visto in lingua originale, sia per apprezzare la straodinaria espressività del timbro della voce di Welles (Fellini diceva che si poteva rimanere incantati ad ascoltarlo per ore anche senza capire cosa diceva), sia per saggiare appieno la sua straordinaria capacità musicale. Welles, molto più di Fellini, sa dare all'alternanza, alla sovrapposizione, all' "orchestrazione" di voci, suoni e rumori un carattere quasi sinfonico. Non è un caso che, nelle interviste del periodo, dicesse: "Senza pensare nemmeno per un momento di paragonarmi a Verdi, vorrei fare sull'Otello un'operazione analoga alla sua: non semplicemente trasporre l'Otello di Shakespare, ma scrivere il mio Otello". Il riferimento a Verdi, forse inconsciamente, mi sembra perfettamente azzeccato: l'Otello di Welles è una vera partitura. C'è più musica nella colonna dialoghi e nella colonna effetti che nella colonna musicale di Angelo Francesco Lavagnino.
La lavorazione, avventurosissima, durò (credo quattro) anni e portò a cambiare ben quattro attrici per il ruolo di Desdemona. Welles disse "C'è una scena che comincia in un castello italiano e finisce in una cisterna in Marocco". Il film venne girato in una pletora di Paesi e di città che ad elencarli fa girare la testa, fu interrotto e ripreso non so quante volte, e fino all'ultimo non si seppe se si sarebbe riusciti a finirlo. Anche solo per il miracolo che Welles è riuscito a fare col montaggio bisognerebbe gridare al genio. Ma, naturalmente, c'è ben altro che la sua genialità di montatore: c'è la bellezza della fotografia, una bellezza severa, maestosa e mai compiaciuta; e c'è la potenza degli accostamenti paesaggio-personaggio e paesaggio-contesto drammatico (le scene col mare in tempesta sono magistrali: mai indulgono ad effettacci "tempestosi", anzi sono riprese a distanza e con movimenti di macchina lenti, a rivelare il totale rifiuto di Welles verso ogni soluzione esteriore, eppure sono magiche per l'adozione di angolazioni di ripresa insolite nel cinema sonoro e che ricordano Ejzenstein, per la perfezione con cui si compenetrano i movimenti dei personaggi e i movimenti di macchina in una vera e propria coreografia, per l'uso semplice ma intensamente evocativo dell'alternanza fra colori chiari e scuri...) E c'è la grandiosa interpretazione di Orson Welles, il quale non era un interprete shakespeariano, ma era shakespeariano punto e basta. E notare che Welles non era, come da più parti s'è detto, un attore eccessivo e gigione: fu gigione per interpretare il personaggio di Kane, che era gigione, ma nel resto della sua carriera diede le sue migliori prove quando ridusse, come qui, fino all'estremo la quantità di mezzi dispiegati per ottenere un risultato espressivo. Sembrava poter provocare tempeste stando seduto, guardando in basso ed emettendo un filo della sua voce scura e risonante. In quasi tutto il film, forse per una necessità dettata dalle disagevoli condizioni di ripresa, ma trasformata in virtù espressiva, le inquadrature non concedono quasi nulla al narcisismo degli attori: li riprendono di quinta, di sguincio, di spalle... che la grandezza d'un'interpretazione risalti anche in queste condizioni, è segno di vera grandezza.
La tecnica di ripresa arcaizzante riconduce al cinema muto, ma c'è un'altra cosa che mi piace sottolineare: come alle volte Welles sappia evocare il suono senza farlo concretamente udire. E' straordinario: ci sono scene dove i movimenti, i colori e i suoni che si odono contribuiscono a dare la sensazione che ci siano anche dei suoni in più o a far sembrare più possenti suoni che in realtà non s'odono a un'intensità particolare. E' il caso di molte delle scene ambientate nei sotterranei, ma anche di quelle, già citate, col mare in tempesta, dove né il mare né le voci sono particolarmente in evidenza o ricche di risonanze, ma s'imprimono nel ricordo come se lo fossero.


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